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28 aprile 1937, la nascita di Cinecittà

di Marco Innocenti

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27 aprile 2009

Mussolini la inaugura il 28 aprile 1937, in via Tuscolana, sotto un dolce sole primaverile. È Cinecittà, la Hollywood italiana, la fabbrica dei sogni nostrani. Il duce, in divisa chiara col fez nero, osserva con dura approvazione i reparti di Giovani fascisti schierati a rendergli onore, sfreccia nei vialetti a passo di marcia costringendo il seguito a faticosi recuperi, risale in macchina e a Cinecittà non si farà più vedere. È stato la prima star del kolossal e, come le grandi star, non si ripete. Tanto più che l'unico divo del regime è lui, ma dal balcone di Palazzo Venezia.

Modernità
Con 14 teatri di posa, tre piscine per le riprese acquatiche, 40mila metri quadrati di strade e piazze, 35mila di aiuole e giardini, 900 dipendenti fissi, Cinecittà può rivaleggiare con i mitici studi di Hollywood. Complesso moderno e razionale, progettato dall'architetto Gino Peressutti e costruito a tempo di record, in 475 giorni, viene definito da Mussolini «un nuovo moderno centro di operosità fascista» e non deluderà.

I telefoni bianchi
Cinecittà non nasce per caso. Il regime parte all'attacco degli italiani offrendo puri eroi autarchici e storie fresche ed esuberanti. I personaggi sono donne fatali e signorinelle ingenue, timidi impiegati squattrinati e sfrontati rubacuori, studentesse e nobildonne, autisti e signori in frac, tutti lanciati in avventure sentimentali, riassunte nel colore del sempre più diffuso telefono, simbolo della sana e prospera modernità dei tempi: quelli, appunto, dei telefoni bianchi.

Spensieratezza e propaganda
Il cinema fascista è un megafono dell'epoca, ma è anche industria e svago. Il grosso della produzione aderisce al filone della spensieratezza. Prime l'intrattenimento, poi la propaganda e la fabbrica del consenso, con Mussolini che predica: «Il cinema è l'arma più forte». I registi sono Camerini, Blasetti, Gallone, Genina, Castellani, Soldati. Gli attori Nazzari, Giachetti, Valenti, Cervi, De Sica, Villa, Girotti. I ruoli tipici sono quello del maschio spiccio e tenebroso che risolve le più intricate situazioni della vita con la passione, il coraggio e la leale virilità e quello dell'uomo galante, insinuante, ricco di sorrisi e brillantina, con i denti candidi come i telefoni bianchi.

Le stelle
Le divine sono Assia Noris, dal sorriso incantevole che fa innamorare, la malinconica Isa Miranda, la sensuale Luisa Ferida, l'aristocratica Mariella Lotti, l'elegante e ambigua Clara Calamai. E poi, Maria Denis, ingenua collegiale o povera sartina, Doris Duranti, bellezza fatale dal seno orgoglioso, Vivi Gioi, la "ragazza Novecento", capricciosa e un po' svaporata e, su tutte, Alida Valli, viso d'angelo e sensualità pudica, una seduzione nascente che presto esploderà e diventerà un mito che catturerà l'immaginario popolare, la "fidanzata d'Italia", la più bella fra le belle.

L'addio
Il cinema di Cinecittà ha lo stampo di una produzione di onesto e, a volte, elevato artigianato. Al cinema si va spesso e il regime vi si inserisce con il cinegiornale dell'Istituto Luce, unico strumento di informazione visiva per un popolo che non ama (o non sa) leggere, una finestra sull'esterno, anche se truccata. Discorsi di Mussolini, visite di gerarchi, realizzazioni del regime, e dalla sala, ogni tanto, si leva un brusio annoiato. Pochi anni e verrà la guerra: i telefoni bianchi, con gli equivoci amorosi, i dongiovanni dal sorriso smagliante e le ragazze timide, innamorate dell'amore, andranno in archivio. Resterà Cinecittà, pronta ad accogliere i nuovi divi di un mondo che, essendo finzione, non muore mai.

27 aprile 2009
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